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29 aprile 2011

Corte di giustizia dell’Ue: l’Italia applichi le direttive europee e cessi di arrestare gli stranieri che non osservano l’ordine di allontanamento.

Con una sentenza che non ammette appello, i Giudici di Lussemburgo sanciscono la contrarietà, rispetto alla direttiva 2008/115/CE, della procedura di esecuzione delle espulsioni in vigore in Italia nella parte in cui prevede l’arresto dello straniero che viola l’ordine del questore.

Dopo nove anni di arresti e condanne per il reato di inosservanza dell’ordine del questore, introdotto nel testo unico immigrazione con la legge Bossi/Fini, è giunto il momento di cambiare regime.
Con una sentenza depositata ieri, la Corte di giustizia dell’Ue ha stabilito che gli articoli 15 e 16 della direttiva 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni sul rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, sono direttamente applicabili in tutti gli Stati membri, anche quando, come in Italia, non sia stato adottato il provvedimento di recepimento. Di conseguenza, se la normativa dello Stato membro contrasta con i principi della direttiva, essa deve essere disapplicata.


Partendo da queste premesse la Corte di giustizia, chiamata in causa dalla Corte di appello di Trento, ha rilevato che l’articolo 14 del testo unico immigrazione - nella parte in cui prevede la pena della reclusione per il cittadino extracomunitario irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo - è palesemente in contrasto con gli articoli 15 e 16 della direttiva 115 e pertanto l’Italia dovrà astenersi da tali procedure e adottare differenti misure per eseguire gli allontanamenti.

Entrando nel merito della decisione, per i Giudici di Lussemburgo la direttiva in questione “subordina espressamente l’uso di misure coercitive al rispetto dei principi di proporzionalità e di efficacia per quanto riguarda i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti.” Da ciò consegue che gli Stati membri “non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo conformemente all’art. 8, n. 4, di detta direttiva, una pena detentiva, come quella prevista all’art. 14, comma 5 bis e ter, del decreto legislativo n. 286/1998, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale. Essi devono, invece, continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti”.

Inoltre, precisa la sentenza, “una tale pena, segnatamente in ragione delle sue condizioni e modalità di applicazione, rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito da detta direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare. In particolare, una normativa nazionale quale quella italiana può ostacolare l’applicazione delle misure stabilite dalla direttiva 2008/115 e ritardare l’esecuzione della decisione di rimpatrio”.
(R.M.)

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